IL FIORE AZTECO / PRIMA PARTE
UNDICI ANNI
Sono un ragazzino che ha le mani piccole.
Gli oggetti di magia che utilizzo sembrano progettati in scala diversa, per mani adulte. I palloncini mi scivolano, le carte mi cadono quando cerco di metterle insieme, le palline da ping pong girano senza moltiplicarsi tra le mie dita sottili e rimbalzano a terra.
Ho anche, quando entro in scena, il cuore che batte forte come se avessi la febbre.
Lo sguardo del pubblico è come quello dei riflettori, solo che tutti stanno attenti. Cercano di indovinare il trucco. Per questo mi stupisce la magia. Invidio l’idea di non sapere come si fa, di stare dall’altra parte supponendo che ci sia un inganno che non scoprirò. “Niente da questa parte, niente da quest’altra”; e io che so che non è vero; lo intuisco.
Lo spettacolino è organizzato nel garage di casa, davanti al pubblico che è la gente del quartiere. Ho undici anni e vivo con mia nonna. Stringo con forza la bacchetta magica. Nonna riposa in mezzo a tutti i presenti, rilassata su una sedia a dondolo. Ha un cavo con un interruttore sulla sua gonna. I ragazzi sono seduti a terra davanti a me. In fondo ci sono alcuni vicini, della mia età, che giocano a darsi delle spinte. Ultima, in un angolo, María Marta, che ha compiuto quindici anni l’altra settimana e mi ha invitato a ballare alla sua festa. La bacchetta magica è un manico di scopa dipinto di nero e rivestito sulle punte con carta argentata. Dalla mia mano sinistra pende la silhouette di un pesce, ritagliata da un foglio degli annunci del quotidiano La Nación. Ho legato il pesce per la coda. Dico, impostando la voce (una voce speciale per María Marta, che si appoggia così sinuosa alla parete del mio garage; con la spalla, con un braccio, con i fianchi):
ーSignore e signori, vorrei raccontare loro la storia di un pescatore…
La nonna attenua la luce.
—...che pescò dalle acque un pesce di queste dimensioni. Hanno visto, loro, qualche volta un pesce così grande?
La silhouette rappresenta un pesce medio, della lunghezza massima consentita dalla diagonale del foglio di giornale, In realtà avevo visto pesci più grandi nella pescheria, o almeno di quella dimensione, ma la novità consisteva nel modulare la voce perché sembrasse il pesce più grande del mondo. I ragazzi dicono: “Sììììì”, gridando. Sono irrequieti e si muovono nella penombra come animali ciechi sotto una coperta.
ー”Per me non è così grande” dissi al pescatore, e lui si ricredette. “Giovane, mi rispose, ha ragione. A voler essere sincero, credo che in fondo non fosse così grande”.
Piego il pesce a metà, poso la bacchetta sul leggio e afferro un paio di forbici. Mi accingo ad accorciarlo tagliando un pezzo, e María Marta chiede a voce alta, dal fondo, lanciando la domanda come una freccia:
ーPerché parla così ricercato questo ragazzino?
È in piedi; la voce arriva chiara e forte. La nonna e alcuni ragazzi si voltano. Lascio cadere il pezzo di carta a terra, prendo il pesce soltanto per la coda e lascio che si distenda. La silhouette si dispiega e mantiene la sua forma di prima.
ーAncora stupito ーdico, incoraggiato dalla buona riuscita del truccoー, mi rivolsi al mio signor pescatore con queste parole: “Valente cavaliere, è un fatto, mi sembra ancora molto grande”.
ーChe stupidaggine…
Lei cerca ancora di interrompere, senza averne diritto. Il libro di magia è importato dalla Spagna. Ho imparato a memoria tutti i dialoghi, ogni battuta, ogni gesto indicato nei volumi della Jackson, per ore e ore, e devo sopportare le sue offese?
La guardo male, con occhi cattivi. Che vuole quella maleducata, la figlia del falegname? Era già tanto se l’avevo invitata, lei e suo fratello, che ha quasi la mia età ma non sa neanche ballare; María Marta fa spallucce, come se non le importasse. Io piego di nuovo il pesce, taglio un altro pezzo e lo faccio scendere. Appare di nuovo intero, ma più piccolo. Avevo passato tutta la sera a incollare la parte posteriore del foglio perché si vedesse sempre intero. Durante le prove ero riuscito a ottenere l’effetto giusto quasi tutte le volte.
ー”Come le sembra?”, osò domandarmi il pescatore. “Male, signor salame. Non sarò certo vittima del vostro inganno. Il pesce era più piccolo.”
Lo piego per fare l’ultimo taglio e María Marta grida: “BUUUU”. Anche i bambini si girano. La nonna aumenta un po’ la luce.
ーChe succede? ーle dico.
ーParla da cristiano, salame ーgrida.
Il coro dei bambini ripete: “sa-la-me, sa-la-me”. Guardo verso nonna e intuisco che anche lei sta pensando lo stesso, perché spalanca la bocca per evitare una risata. Le dico che, per favore, abbassi di nuovo la luce. Faccio pressione sui pezzi di carta, la testa e la coda del pesce una sull’altra, molto forte, perché s’incollino su un pacchettino piegato a fisarmonica che, da prima dello spettacolo, era nascosto dietro la testa. Il pacchetto è una specie di organetto che simula le vertebre e le spine del pesce. Il senso del trucco è quello di accorciare il corpo fino a che non rimanga quasi niente, e alla fine far dire al pescatore, fermo nella sua testardaggine: “L’ho mangiato per cena, e so di sicuro che era di questa dimensione, sebbene voi non lo crediate”.
A questo punto faccio scivolare lo scheletro, come una ghirlanda, fino a terra. Le spine attaccate alla coda e alla testa avrebbero fatto un’impressione straordinaria, soprattutto ai bambini. E il discorso era pensato proprio per la nonna, che era spagnola e le sarebbe piaciuto più del linguaggio che usiamo noi in strada. Anche se suonava strano in bocca a un bambino porteño di periferia. Perché era la lingua vera, quella dei libri e in particolare quella de L'Apprendista Mago, volume I della Biblioteca de Juegos e Ilusionismo di Barcellona; una lingua degna di essere pronunciata davanti a un pubblico. Questo era lo spettacolo, anche se a María Marta sembrava una stupidaggine di un “salame”.
Lascio cadere il pesce mentre guardo verso l’angolo opposto ai suoi occhi. Voglio scappare via, uscire dalla luce dei fari che mi illuminano rendendomi ridicolo, che mi sottomettono a questa umiliazione, a questa piccola ma enorme umiliazione dello scheletro che non si attacca alla coda, che si blocca a metà della piegatura e si rompe, che mi lascia con una pinna in mano e una minuscola spina che pende, indifesa. La testa del pesce cade a terra con quel che resta del pacchetto.
Loro applaudono lo stesso. Come se non avessero cercato altro che passare un po’ di tempo. La nonna ride, tenendosi la pancia. Sembra un’indovina con la sfera di cristallo che va avanti e indietro nella sedia a dondolo.
ーAndate via ーgrido a tutti, arrabbiatissimo. Tutti tacciono.
Continuo a gridare. Il calore attraverso gli occhi mi arriva al cervello. Sono violento come soltanto un mago di undici anni può esserlo.
Due vicini cercano di aiutare nonna ad alzarsi, ma lei non smette di ridere. Uno dopo l’altro lasciano il garage. Alla fine rimaniamo María Marta, suo fratello e io. Lei si avvicina fino a che ci separa soltanto la distanza di due mattonelle.
ーVai via ーle dico, e mi copro la faccia con le mani.
ーNon c’è niente da piangere ー. La sua voce è una carezza soave.
Perché le importava come dicevo le cose? Quello che contava era ciò che stavo facendo, la magia stessa. Trasformare un pesce in uno scheletro di pesce “per condividere un momento gradevole e alleviare la noia degli spettatori”.
ーVai via ーripeto, ma lei si avvicina di una mattonella. Mi appoggia una mano in mezzo alle gambe, sui pantaloni buoni che metto per andare a scuola. Carlitos è dietro; si è messo in testa un cappello di cartoncino nero e fa lo spadaccino con il manico di scopa.
ーChe fai? ーle dico.
Sento il tepore che nasce da quel movimento primario, da quella specie di impasto lievitante che lei provoca. Sento quel calore crescere dentro la sua mano e mi abbraccio a lei per non disperderlo, per catturarlo perché a un certo punto finirà per sparire, come tutte le cose. È bello; è dolce. Accosto il mio viso sui rigonfiamenti della sua maglietta e immagino la stessa musica del suo compleanno. Un valzer. L’altra sua mano sulla mia spalla; il suo profumo; i suoi capelli. Il suo dubbio di un secondo; il suo passo indietro che fa comparire sul pavimento una mattonella, due. La sua voce che mi parla di nuovo dolcemente, come se si scusasse per smettere di ballare.
ーHai visto che anch’io conosco qualche trucco ーdice.
Sorride come una ragazza grande.
ーQuello che ti manca è una partner ーaggiungeー, come quella dei maghi della televisione. Il fiore azteco che nomina sempre mio padre.
Suo fratello sbatte la bacchetta sul leggio che io stesso ho costruito con il legno delle cassette di composta di patata dolce, seguendo le istruzioni della rivista Lúpin. Gli afferro al volo il cappello di carta.
ーDonne no.
Lei alza le spalle, trascina Carlitos per un braccio ed escono senza far rumore. Rimango di nuovo solo con i miei trucchi per terra, le sedie rovesciate. Le mutande umide.
(Traducción Gianni Barone)
Etiquetas: FLOR AZTECA
<< Home